“Dove i pendolari gettano la fame ai gatti”, poesie da “Enclave”, La Vita Felice 2017, di Bruno Brunini
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Loredana
Magazzeni su “Enclave” di Bruno Brunini
(2017)
Lo sguardo di Brunini, in questa raccolta di
poesie, riflette il senso di una comunità, che soprattutto nella prima sezione,
“Periferia” e nella terza, “Naufragi”,
include i migranti, le minoranze, luoghi, voci, persone che incontriamo
ogni giorno nelle situazioni più diverse, in queste enclave delle periferie. Ed
è uno sguardo attento all’altro da noi, attraverso il quale il presente, in cui
a prevalere è l’anomia,la precarietà esistenziale, il senso di insicurezza,
comincia ad aprirsi all’autore, con quel tono di magia, interpretando il
pensiero di Gregorio Scalise, una magia che si affida alla parola poetica come
qualcosa che va oltre il puro accadimento.
Quella di Brunini è anche una poesia molto
visiva, non descrittiva, ma partecipativa, che svela, che mostra, senza
eccessi, con pacatezza, dove possiamo ritrovare l’archeologia dei luoghi che
emergono come frammenti di un tempo dimenticato, a cui la poesia può ridare
significato, come accade anche nella seconda, delle tre sezioni che compongono
il libro, dedicata al lavoro.
La realtà della fabbrica, la condizione
straniante di chi ci lavora, vengono infatti raccontate nei risvolti più aspri,
ma sempre attraverso una scrittura non realistica, magica, leggera, rarefatta,
dove la parola diventa bullone, attrezzo, pane, ciminiere, lavoro, pietra, che
si carica di tutto il proprio peso e della propria memoria, ma che poi
attraverso la poesia arriva a una rarefazione e a un superamento del reale.
Nei diversi modi e percorsi di questa raccolta,
in cui si manifestano il tempo incerto della storia e le lacerazioni
dell’esperienza personale, si riconosce
l’azione dell’autore di testimone importante ed empatico di quello accade nella nostra realtà.
Attraverso questi mondi di confine senza
orizzonte di Enclave, riportati in
una dimensione che riguarda un destino collettivo, si percepisce nella
scrittura una specie di serenità amara, che però non è rassegnazione, ma presa
di coscienza di dover farsi carico di quello che c’è intorno a noi,
inseguendone il molteplice divenire, con la forza espressiva di una parola
poetica che diventa forma di ricerca e di resistenza.
Poesia - Letteratura
- Musica - Spettacolo:
Recensione di Rita Pacilio su Ombra di vita
di Bruno Brunini – La
Vita Felice 2012
30/ott/2012
L’esperienza poetica di Bruno Brunini riduce in modo
energico gli spazi narrativi e la metafora mimetica di cui è ricca molta
scrittura post moderna. Ombra di vita è un’opera caratterizzata dalla
sovrapposizione dello spazio-tempo in cui le cose passate e quelle presenti
sconfinano in una testimonianza ben distinta della realtà quotidiana che è pur
sempre in bilico tra la vita e la morte "Il tempo che non coincide /con ciò che
si pensa/ ritornava cancellato." Il percorso tra le sezioni del libro è lineare
ed è segnato dal vissuto personale dell’autore fino ad arrivare a cambi di
prospettiva in cui la visione soggettiva diventa situazione cosmica "Essere
aria, un soffio /nel tempo del ritmo cosmico … le ore possono diventare anni."
L’attraversamento delle tenebre della morte ci introducono in una lunga notte
in cui Brunini accompagna ogni lettore per meglio entrare in dialogo con il
tempo e le sue voci passate. La frequentazione dei confini vitali ci mette di
fronte alle immagini di luogo e persona attraverso impulsi inconsci, che ci
affidano alla quiete del mare o alla riva - Torneremo ad essere mare. La
materialità dell’uomo si consuma nel corpo e nella forma mentale che,
nonostante l’avvicinarsi della sua fine, combatte per mantenere saldo il
racconto, la dimora, l’identificazione, l’unicità. L’autore, mentre piange
lacrime asciutte, sorveglia il lettore e lo rassicura sull’approdo del resto
materico, che non va disperso, ma reso al mondo, all’essenza vitale dell’acqua
che nutre e si nutre di vita "Ti vedo partire/ nel fondo del mare/ dove non
finirai mai di sparire." Questa stessa energia viene collocata in quel mare che
ci rende visibili, che ci risorge al mondo, che ci fa emergere da una elegia
drammatica e pessimistica, che lenisce e rinnova la cava di sale che portiamo
dentro. La metamorfosi del corpo malato entra in contrasto con l’impulso
dell’atto della parola poetica che è pienamente sana, viva. La poesia è l’antidoto
sostanziale che ci spinge ad aprire un altro spazio-tempo in cui immortalare il
ricordo, la memoria dell’altro (da noi e in noi) che viene a mancare, che
scompare a se stesso - I fogli delle tue poesie … conservano la traccia di
te. L’elaborazione del lutto è affidata
alla capacità dell’intelligenza colta che non si dispera, ma che impara a
spostare l’occhio su un piano d’osservazione diverso. Il dolore nutrito dalle emozioni
primarie entra in contatto immediato con l’agire delle stesse emozioni
traducendo la crudeltà della sorte in una ‘poesia del destino’.
http://ritapacilio.blogspot.com/2012/10/recensione-rita-pacilio-su-ombre-di.html
dall’intervento di Claudio Beghelli alla presentazione di Ombra di vita di Bruno Brunini
Libreria Feltrinelli International – Bologna 22 novembre 2012
Se ha ragione Paul Celan, la poesia sarebbe un “Canto d’emergenza dei pensieri/ nato da un sentimento…”
Ciò che viene testimoniato e cristallizzato nella parola poetica è sempre una situazione limite, tale da eccedere
qualsiasi linguaggio quotidiano o convenzionale. Nel momento in cui
l’urgenza di parlare è avvertita, la poesia si spinge fino all’estremo
margine di ciò che può essere detto, cercando di raffigurare
accadimenti, pensieri, sogni e conflitti che fatalmente si compiono in
uno spazio che solitamente è inaccessibile alle parole. Questa è la
parola letteraria. Un corpo a corpo, con l’indicibile, un duello contro
il vuoto, contro l’assenza e lo svanire, per aprire un varco nel
silenzio del dolore del “dopo”: questo è la raccolta di Brunini. (“…il
dolore gira/nel rumore del giorno che passa/ il dolore è sabbia e
oscurità per gli occhi)
Il sentimento
dominante – non l’unico – da cui prendono forma i versi è il dolore: il
sentimento tragico della separazione ineluttabile da una persona
vicina, che “vediamo svanire” – volgendo al plurale il
primo verso di una struggente poesia contenuta in questo intensissimo,
incandescente libro di Brunini – e che dobbiamo accompagnare verso la
foce della propria vita, aiutandola, per quanto possibile, ad uscire dal
mondo nonostante la consapevolezza della nostra assoluta inadeguatezza,
perché come ha scritto Celine: “Si manca di quasi tutto quello che
occorre per aiutare un uomo a morire”.
Brunini è
maestro nel rendere tutto questo con grazia, sobrietà e misura, senza
mai scadere, anche quando i versi si venano di una legittima quanto
indelebile nostalgia, nel patetico e nel sentimentalismo. Si potrebbe
anzi dire che Brunini possiede la rara capacità di partire da fatti
minimi e privati, quasi diaristici e, attraverso immagini e metafore
dirette e immediatamente trasparenti, riesce a conferire ad essi un
respiro più profondo e ampio, un significato universale, che – come tale
– esprime l’angoscia, la speranza, il rimpianto, la tenerezza, e gli
abbandoni comuni a tutti coloro che hanno esperienza, della tormentata
bellezza, e, infine, della assurda crudeltà della condizione umana.
Svanire, sparire: sono verbi che
ricorrono con una certa frequenza in “Ombra di vita”, sono il filo che
annoda e coniuga una poesia con la precedente e la successiva di questa
raccolta. La realtà è, forse, tutto ciò che, nell'accadere, scompare? Se
questo è vero – ed è ciò che Brunini pare asserire, implicitamente – la
vita non è altro che una serie progressiva di quelle che in cinema si
chiamano “dissolvenze incrociate”, che sfumano e trascolorano
continuamente l'una nell'altra. I pensieri del poeta sembrano spezzarsi
per un cortocircuito della memoria, e i versi procedono per ellissi
temporali, come i flashback di un film. Accade, allora, che nel passare
da un verso al successivo, ci troviamo improvvisamente sospinti
all'indietro: dal tempo presente (del lutto) al tempo trascorso,
interiore, intimo e viceversa (i ricordi, le istantanee della
giovinezza, i momenti vissuti insieme, le stratificazioni temporali che
formano l'identità). In sintesi, Brunini è poeta del commiato e
dell'eterna dissolvenza.
Ma, “C'è qualcosa che, nello svanire,
rimane”. Che cosa? Una possibile risposta si trova nei tre versi
iniziali dell'ultima poesia, il “ricordo/ che dà un nome/ a ciò che di
te è cenere...”
Come sostiene Derrida, “alla morte
dell'altro siamo destinati alla memoria, e, dunque,
all'interiorizzazione, perchè l'altro, fuori di noi, non è più niente;
dobbiamo portarlo in noi”: vivere anche in suo nome, testimoniare
per lui. E l'altro, che può essere nominato, ma non può più rispondere,
continua Derrida, ci “appare proprio come lo scomparso che non lascia 'in noi' che delle immagini”: gesti, parole, scritti, “tratti caratterisitici”,
che assorbiamo, quasi inavvertitamente, fino a scoprire, un giorno, che
essi sono diventati parte integrante della nostra personalità e – come
afferma Hilman - “ci fanno da guida”. (Si veda, a tal
proposito, la poesia a pagina 51 della raccolta: “Parlavo allo scaffale
dei tuoi libri.../ con i tuoi gesti, rimetto in ordine gli oggetti/ per
sentire ancora la tua voce di fratello...”)
A suffragio di quanto detto, voglio citare gli ultimi tre bellissimi versi della poesia di Brunini “Vedo il tuo svanire”,
che esprimono, in modo sintetico ed icastico il senso di una riuscita
elaborazione del lutto: “Nella mia mano conservo/ il senso di quello che
hai cercato/ per regalarlo”.
Elisa Druent per "Ombra di vita"
Con un moto ondulatorio, che a tratti sfiora il
precipizio per ritrovare subito dopo punti di equilibrio, nei versi di “Ombra
di vita” si riavvolge una trama, la trama di una di vita, ricomponendo lo
strappo che l’ha appena interrotta, e così "La tua voce / che fugge dalle labbra
/ sul bianco del balcone…bambini impolverati / nell’odore dei vicoli antichi."
Tra immediatezze di sguardo e profondità di campo (Sanno le mani / come i muri
ascoltano / la poesia che rinfresca la fronte / che non ti lascia svanire nel
niente),
come partenze e ritorni dei giorni che sono stati, riprendendo uno scambio con l’esistenza
venuta a mancare, con un mondo che non c’è più, la percezione
dell’inarrestabilità del tutto, dapprima con passo lento, parola dopo parola si
fa vertiginosa: "Ceneri gettate / Il tuo viso / si perde / riappare / la tua
voce su e giù per la corrente / il tuo pensiero / ritorna al silenzio dei
pesci."
Attraverso la ciclicità di immagini che emergono per poi
inabissarsi nel mare indistinto della memoria e in quella che diviene poco alla
volta la graduale consapevolezza del distacco, "e i minuti svaniscono / in un
giro di lancette / che si ferma / dove tu saluti", si percorrono i molteplici
nessi che le emozioni e le riflessioni provocano. E intanto la prospettiva si
sposta e si porta verso un’altra fase, un altro tempo. "Il vetro ghiacciato /
che si spacca / in un punto del silenzio / un mucchio di pensieri / usciti di
misura… e lì, oltre la porta / il giorno inesplorato." La comunicazione che
l’autore sollecita tra dimensioni inconciliabili in tal modo si avvia, prende
forma, quello che non è più torna ad essere, nella mente come nello sguardo, lo
spazio del possibile si estende a ogni espressione che il vocabolario in sé
contiene.
La parola fine, inconsapevolmente forse, non è mai
davvero contemplata fino in fondo nel nostro lessico, almeno per quanto
riguarda le persone a noi vicine, e nei versi di Brunini si fa dialogo; la
scomparsa, la morte, diventa parola viva, relazione aperta: "Oscillando nel
dondolìo del sonno… nessun centro ti trattiene / il ciclo dei pianeti, i giorni
di marea / lo zenit e l’orizzonte / tra Pegaso e l’acquario… la notte delle
origini / il molto e il niente."
In 2013, Anno VII - Numero 1, Gennaio
- Marzo, Notizie Letterarie, Sommario l'EstroVerso
“In un’apparente linearità di percorso, riservano improvvisi
cortocircuiti da cui affiorano illuminazioni e straniamenti che riflettono
l’inafferrabilità dell’esistenza”. Così Giorgio Celli definisce i versi di
Bruno Brunini attraversati dal dolore per la perdita di una persona amata, dal
desiderio acceso di riconciliazione con se stesso e col mondo. “Inutilmente
cerco / ciò che non può più essere raggiunto”, “La cenere è ancora tiepida / il
calice, vuotato in mare, / morbida discesa verso il riposo. / Nella luce
irreale del distacco / scorri via / sei onda, fuoco, / sei sabbia e tempo, / ti
vedo partire / nel fondo del mare / dove non finirai mai di sparire”.
Disillusione, smarrimento, angoscia, senso d’impotenza, lacerazione interiore,
memorie di un vissuto incolmabile, impregnano ogni singolo componimento. La
poesia è radiazione luminosa, “la poesia che rinfresca la fronte / che non ti
lascia svanire nel niente. // A te devo
il futuro. Respiro / per diventare la tua nicchia”.
andrea masotti
il blog di Andrea Masotti
Mi risulta difficile riportare una singola poesia di questa
bella raccolta, tanto l’una si trasferisce nell’altra. Una poesia semplice e pura, Ombra di vita è un libro, come
è stato definito, prezioso.
Roberto Roversi ha scritto nella Postfazione al libro Strade interrotte (Edizioni Mongolfiera, 1990):
In
questi testi che conosco bene, avendone seguito il viaggio della
scrittura è in atto un passaggio lento ma progressivo, fortemente voluto
e patito dall'autore, dall'esterno del mondo reale, delle cose, verso
la caverna dei sentimenti, rivoltati o stravolti ma soprattutto
spaventati come un'onda di pipistrelli senza pace.
L'occhio e
il cuore inseguono incessantemente i movimenti, le vicende, il
frantumarsi del mondo così come lo hanno vissuto e lo vivono, quasi
scontrandosi con uno specchio perché incalzati dal gesto di un diavolo
scatenato; dato che occhio e cuore partecipano di un modo di guardare il
mondo che contende ogni frammento di realtà, ogni rapida movenza -
dentro al giuoco di ombre e di fuoco che è la nostra vita oggi - alla
sopraffazione e alla morte.
Questo passaggio non è però
categorico e neppure subito evidente (anche se vorrei sottolineare e
ricordare un verso di pagina tre, all'inizio: "il tempo che distrugge è
il tempo che conserva"); non è avviato a cuore aperto, cioè con un
percorso in evidenza, quasi fosse una ferita che ancora consuma sangue;
ma piuttosto con un infaticabile scavare da talpa, ferendosi le mani
nello stesso tempo radunando le parole come pietre; le pietre delle
parole per la costruzione progressiva di un fortino delle comunicazione;
per delimitare il fortilizio della propria comunicazione.
Questo
impegno è una fatica reale e si traduce in un lavoro mai quieto;
costante, invece, nello sforzo di revisione dei propri segni, di
controllo dei propri movimenti; per riuscire ad arrivare a una verifica
sempre più approfondita del proprio "metodo" di ricerca, di osservazione
del reale e di scrittura; che, se altrimenti eluso, potrebbe portare ad
esorbitare nell'accumulo del materiale di riferimento; ad ammassare le
pietre (delle parole) senza più il tempo, o il fiato, per selezionare.
Infatti
è tipica nel nostro tempo, per la scrittura poetica così come è
esercitata nei paraggi, qua da noi, la tendenza a transitare dalle gravi
inquietudini del mondo (che vengono registrate, catalogate come un
sottofondo scenografico per irrobustire una rappresentazione della
comunicazione) alle maglie dei sentimenti; disposti come rampicanti sui
muri, quindi senza scontrarsi con le difficoltà intermedie e anzi
rimuovendole o accantonandole come ormai non più pertinenti a un
discorso poetico aggiornato.
Nei testi proposti da Brunini, al
contrario, ogni gesto sembra rimettere in giuoco tutto; la propria
scrittura, il rapporto reale con la propria vita. Non è una scelta da poco.
Dalla relazione di Giorgio Celli alla
presentazione della raccolta Dalla parte
della notte, tenuta giovedì 3 aprile 2008 alla Melbookstore di via Rizzoli
18, Bologna
"Questa raccolta poetica si nutre di immagini dell’universo urbano,
in cui affiorano tensioni della cultura giovanile musicale, dissonanze e
cortocircuiti che scompongono i piani del reale secondo singolari
itinerari della percezione.
La ricerca di Brunini si evolve verso
tematiche sociali e di impegno civile. Gli avvenimenti della memoria
collettiva s’intrecciano con mondi di esclusi, di perdenti, e spesso
l’incontro con differenze di idiomi e lontananze culturali diventa
contaminazione linguistica.
Dalla parte della notte racconta la
contemporaneità, esplorandone il sommerso, l’inafferrabile
contraddittorietà, in un meditato sguardo che propone un presente
oscurato. Mescolando registri espressivi che variano dal
lirico al parlato, dalla cadenza ritmica di ballate ad effetti surreali,
l'autore offre una testimonianza poetica del disagio e dell’alienazione
quotidiana, giungendo a momenti di visionarietà che aprono inedite
prospettive."